Figlia della Carità
Marta Anna Wiecka nacque il 12 gennaio 1874 a Nowy Wiec, in territorio polacco, nella zona occupata allora dalla Prussia. Era la terza di 13 figli dei quali tre morirono in tenerissima età e cinque in età giovanile.
A Marta venivano affidati i fratellini che giungevano puntualmente a distanza di due o tre anni. Perciò imparò molto presto cosa volessero dire dedizione, pazienza, mediazioni nei piccoli litigi infantili, sonni interrotti, attenzione e senso di responsabilità, emergenze ecc. ecc.
Potremmo definire, la sua, una fanciullezza donata agli altri, ma non del tutto priva di quella spensieratezza che richiede l’ età..
A 11 anni, secondo l’uso del tempo, iniziò la preparazione alla Prima Comunione. Le lezioni bisettimanali venivano fatte al mattino, prima della scuola, nella Parrocchia distante 12 chilometri. C’era di che scoraggiarsi, ma Marta fu la prima a reagire: alzata alle cinque del mattino, cammino attraverso scorciatoie, passo cadenzato e continuo, partecipazione alla Santa Messa, lezione di catechismo e poi ritorno a casa dove un’altra giornata di scuola e di lavoro era già spuntata.
Il catechista, Don Marian Dabrowski, avrà un ruolo molto importante nella vita di Marta. A lui affiderà la guida della sua anima, con lui inizierà a rendere più nitidi i contorni di una vocazione religiosa nascente. Don Marian, infatti, era il Cappellano delle Figlie della Carità nella loro Casa Provinciale a Chelmno. Non c’è quindi da meravigliarsi se la giovanissima Marta sentiva insorgere mille interrogativi da sottomettere a Don Marian per sapere sempre più notizie sulla vita delle Figlie della Carità.
Fu Don Marian che, dopo ripetute richieste, suggerì a Marta di scrivere alla Visitatrice di Chelmno per chiederle di essere accolta in comunità. La risposta non si fece attendere e fu positiva, ma c’era una clausola: se voleva conoscere le Suore ed essere a sua volta conosciuta, Marta avrebbe dovuto trascorrere il periodo natalizio a Chelmno.
Volitiva come era, Marta accettò e partì. Fu un’esperienza bella che la segnò per sempre. Al momento di congedarsi si sentì dire di tornare dopo due anni. La giovane Aspirante aveva infatti soltanto sedici anni.
Tornò in famiglia dove riprese il suo posto tra genitori e fratellini da accudire, contando i giorni che mancavano al suo diciottesimo compleanno.
In questo periodo si inserì un fatto nuovo. Monica Gdaniec, la sua amica del cuore, di due anni più grande, le comunicò un giorno che anche lei voleva diventare Figlia della Carità. Aveva già inoltrato la sua domanda alla Visitatrice di Chelmno, ma le era stato detto di aspettare un po’ perché….non c’era posto! Una soluzione per accelerare i tempi c’era: le Figlie della Carità erano anche a Cracovia. Senza dir niente a nessuno, facendosi coraggio l’una con l’altra, le due ragazze scrissero alla Visitatrice di Cracovia. La risposta arrivò e fu positiva.
Era il 25 aprile 1892. Il giorno dopo iniziarono il loro Postulato. Monica aveva 20 anni e Marta 18. Dopo poco più di tre mesi, cominciarono la seconda tappa della loro formazione: il Seminario.
Tutto nella norma: vita di unione profonda con il Signore, conoscenza e approfondimento dello spirito e del carisma vincenziano, esperienze di servizio tra i poveri.
21 aprile 1893: Suor Wiecka, rivestita dell’abito delle Figlie della Carità riceve la sua prima destinazione: l’ospedale di Leopoli, il più grande ospedale diretto dalle Figlie della Carità della provincia di Cracovia. Poteva ricevere fino a 1000 malati e vi lavoravano 50 Suore.
Suor Marta vi imparò la professione di infermiera aiutata dalle Sorelle più anziane: il metodo, la precisione, l’attenzione e tutto quel piccolo-grande bagaglio che fa di un’infermiera una maestra in umanità e una messaggera di fede.
Dopo pochi mesi Suor Marta aveva superato gli esami: in molti avevano avuto modo di apprezzarla e di capire che in quella giovanissima Suora c’era stoffa buona.
La ritroveremo l’anno dopo nell’ospedale di Podhajce, una cittadina di circa 6.000 abitanti. Le Suore erano solo in sei e si dedicavano a una sessantina di malati. Le condizioni di lavoro non erano certo le più facili perché, oltre ai malati, le Suore avevano ogni giorno a che fare con gli operai, i disoccupati in cerca di lavoro, i poveri che chiedevano un po’ di pane. Se a Leopoli Suor Marta aveva dovuto dimostrare le sue capacità di infermiera, qui le erano molto necessarie l’intraprendenza e l’iniziativa. Era stata mandata lì proprio per questo. Anche qui superò brillantemente l’esame: competenza, professionalità, capacità di relazione, dedizione, pazienza, disponibilità e poi quei momenti tutti intrisi di preghiera per chiedere a Dio una guarigione o una conversione. Nessuno dei suoi malati moriva senza riconciliarsi con Dio.
Leopoli, Podhajce: due trampolini di lancio per arrivare fino a Bochnia, una cittadina non lontana da Cracovia, di circa 8.000 abitanti. C’erano 5 Suore per circa 55 malati.
La Suor Servente, Suor Maria Chablo si rese subito conto che la giovane Suora di appena 25 anni era un vero tesoro sia per i malati che per le consorelle: sempre serena, sempre pronta ad aiutare, sempre disposta a prendere su di sé i lavori più pesanti. Non era difficile andare d’accordo con lei.
E invece proprio a Bochnia avvenne quello che nessuno mai avrebbe potuto prevedere: una calunnia odiosa che gettò sulla sua persona un fango pesante.
Un brutto giorno accadde il fattaccio. Nel reparto in cui prestava servizio Suor Marta venne ricoverato un giovane studente piuttosto grave. Fu affidato alle sue cure. Nella stessa camera c’era un uomo affetto da malattie veneree.
Un giorno, mentre aspettava il risultato del termometro, Suor Marta, in un gesto istintivo, si sedette sul letto del giovane. Un gesto innocente che pagò molto caro. L’uomo aveva trovato quello che cercava. Appena uscito dall’ospedale si recò dal Parroco al quale disse che Suor Marta era incinta; il padre del bambino era il giovane malato.
Anche qui nessun approfondimento, nessun confronto. Venne chiamata d’urgenza la Suor Servente alla quale, senza spiegare neppure il perché, fu servita una di quelle docce fredde che lasciano il segno per anni. Finalmente, dopo tante porte chiuse, Suor Maria riuscì a sapere dal suo Confessore di un tempo ciò che era successo. La sua reazione di sorpresa e l’ assoluta fiducia nella sua giovane compagna non vennero prese neppure in considerazione.
Tornò a Bochnia col cuore spezzato, impedita di comunicare ad altri l’ingiusta accusa. Soprattutto non voleva che Suor Marta sapesse qualcosa. Ma la Suora sentiva che, all’improvviso, la terra le stava franando sotto i piedi, si vedeva circondata da sguardi sospetti e da voci appena sussurrate. Non sapeva che qualcuno aveva già bussato alla porta delle Suore per lasciare una culla per il nascituro, accompagnando il dono col più ironico sorriso. Non sapeva che per due volte il calunniatore aveva tentato di accoltellare la Suor Servente perché, diceva, proteggeva troppo Suor Marta.
Fu a questo punto che qualcuno cominciò a porsi degli interrogativi sulla personalità dell’incallito personaggio. Ne venne fuori un curriculum da far accapponare la pelle. Solo allora il Parroco capì in che specie di tranello era così ingenuamente caduto. Si recò in fretta in casa delle Suore e lì, davanti a tutte, pianse la sua colpa e chiese ripetutamente perdono.
L’incubo era finito, ma per Suor Marta le cose non cambiarono molto: durante la terribile calunnia era rimasta salda alla croce, in piedi, forte della sua innocenza. In un giorno imprecisato, durante la preghiera, le era apparsa una croce dalla quale uscivano raggi. Aveva sentito anche una voce: “Figlia, sopporta pazientemente tutte le calunnie e tutte le accuse. Fra poco ti prenderò con me”!
Da quel momento Suor Marta aveva sentito un grande desiderio del cielo. Aveva capito che le restava poco da vivere.
Era il luglio 1902. Nell’ospedale di Sniatyn, una cittadina di circa 11.000 abitanti, c’erano alcuni problemi. Occorreva riportare tranquillità. I Superiori pensarono a Suor Wiecka che aveva già dato prove di serietà e di equilibrio. Suor Marta arrivò a Sniatyn disponibile come sempre. Infinitamente paziente, sempre servizievole e premurosa, lasciava trasparire dal volto una gioia interiore che aveva qualcosa di soprannaturale. Lavorava nel silenzio e nella preghiera. Lei sapeva cose che gli altri non potevano sapere. Ormai poteva contare i giorni che le rimanevano da vivere.
Il prossimo anno farò il Natale in cielo” aveva affermato con convinzione nel dicembre 1903. Le Suore l’avevano guardata sorprese: non c’era assolutamente nulla che facesse presagire una fine a breve scadenza. Anzi le sue forze sembravano aumentare un po’ più ogni giorno, sempre disponibile a servire, sempre pronta ad aiutare chi si trovava in difficoltà.
A Sniatyn a Suor Marta era stato affidato il reparto infettivi. Le misure di igiene e le regole di prudenza non erano mai troppe. Il pericolo del contagio era sempre in agguato.
Nella stanza d’isolamento era stata ricoverata una donna colpita da tifo petecchiale, una malattia altamente contagiosa in quel tempo e sicuramente mortale. Invece quella donna ce l’aveva fatta a sopravvivere ed era tornata a casa sua, lasciando però nell’ospedale mille problemi: bisognava procedere ad una accurata disinfezione dell’ambiente e delle suppellettili. Il compito venne affidato al portiere dell’ospedale. Il poveretto si sentì distrutto. Sapeva benissimo che c’era una percentuale altissima di probabilità che contraesse a sua volta la terribile malattia. Pensò alla sua giovane sposa, al suo bambino di pochi anni. Pianse, si disperò, implorò.
Suor Marta lo vide e si commosse profondamente. Senza pensarci due volte propose la soluzione: “Vado io”! Nessun ripensamento, nessun tentennamento. Quella determinazione che l’aveva caratterizzata per tutta la vita, si rivelò in tutta la sua pienezza. Suor Marta andò, disinfettò.
Erano trascorsi solo pochi giorni. Il 23 maggio 1904 si sentì invasa da una grande debolezza. Si mise a letto. Le cure che le vennero somministrate non valsero a nulla.
Qualcuno pensò che le previsioni da lei fatte sulla sua fine contenevano qualcosa di vero.
Suo fratello Don Jan, Sacerdote da pochi anni, accorse al suo capezzale.
Il 30 maggio le condizioni fisiche di Suor Marta si erano ulteriormente aggravate. Quasi per scongiurare la sua fine prematura, una Suora le disse: “Maggio sta ormai per finire e tu sei ancora qui con noi”! Suor Marta abbozzò un sorriso e precisò che era solo questione di ore.
Morì quella sera stessa. La notizia della sua morte si diffuse in un baleno. Tutti volevano sapere, tutti volevano vederla. La gravità del male che l’aveva colpita non permetteva assembramenti. Molti piansero quella giovane vita stroncata; molti lodarono il gesto che aveva coronato la sua vita.
Per disposizione delle autorità sanitarie, la salma di Suor Marta fu portata attraverso quella scala secondaria di cui aveva parlato. Per misure di prudenza non fu permesso portarla in Parrocchia.
Il corteo funebre si diresse direttamente verso il cimitero di Sniatyn. A presiedere il tutto c’era suo fratello Don Jan.
La salma venne tumulata accanto alla tomba di San Giovanni Nepomuceno, il Sacerdote morto martire per non aver voluto infrangere il sigillo sacramentale e di cui Suor Marta era devotissima fin dalla fanciullezza.
Solo alcuni giorni dopo le Suore si resero conto che anche questo particolare era entrato nelle “profezie” di Suor Marta.
Gli anni trascorsero più o meno rapidi, pieni di vicende politiche che parlavano di guerra, di spartizioni, di germanizzazione. La Polonia conobbe pagine durissime della sua storia.
Le Figlie della Carità dovettero lasciare molte delle loro attività a servizio dei Poveri, tra cui l’ospedale di Sniatyn (1920).
Inspiegabilmente la tomba di Suor Marta continuò ad essere sommersa di fiori. Pochissimi a Sniatyn sapevano ormai chi fosse colei il cui corpo riposava nel loro cimitero. La chiamavano la Madre, la Monaca, ma le conoscenze non andavano molto più lontano. Una cosa però la sapevano: la Madre aiutava tutti.
Sr Maddalena Castrica FdC